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Rapporti di vicinato e alberi: i principali motivi di conflitto

In mancanza di regolamenti o usi locali, la distanza da osservare cambia a seconda del tipo di albero: per quelli ad alto fusto (come noci, abeti, cipressi, pini, magnolie), è di tre metri dal confine; per quelli non ad alto fusto, la distanza è di un metro e mezzo; per viti, arbusti, siepi, alberi da frutto di altezza non superiore a 2 metri e mezzo, 50 centimetri.

La violazione delle distanze legali

L’art. 894 c.c. consente al proprietario di un fondo di esigere che il confinante estirpi gli alberi e le siepi che sono piantati o nascono a distanza minore di quelle previste dalla legge.

Secondo l’art. 892 c.c., comma 3, la distanza si misura dalla linea del confine alla base esterna del tronco dell’albero nel tempo della piantagione o dalla linea stessa al luogo ove fu fatta la semina.

In presenza di tale quadro normativo, il giudice deve accertare il rispetto delle distanze prescritte, da calcolare dalla base esterna del tronco, e, solo in caso di comprovata violazione delle stesse, ordinarne la estirpazione.

È possibile però usucapire il diritto a mantenere un albero a distanza inferiore a quella stabilita dalla legge se il proprietario dell’albero lo mantiene per più di venti anni a distanza illecita.

La presenza di un muro divisorio

Il divieto di tenere alberi di alto fusto a meno di tre metri dal confine, stabilito dall’art. 892 mira ad impedire che la parte fuori terra degli alberi possa arrecare un danno ai vicini, per diminuzione di aria, luce, soleggiamento o panoramicità.

Secondo l’articolo 892 c.c., comma 4, però, non sono applicabili le norme sulle distanze per gli alberi se sul confine esiste un muro divisorio, purché le piante siano tenute ad altezza che non ecceda la sommità del muro. Ne deriva che l’art. 892 c.c., comma 4, può trovare applicazione soltanto nel caso in cui la pianta non superi il muro, atteso che soltanto in tal caso il vicino non la vede e non subisce la diminuzione di aria, luce e veduta (Cass. civ., sez. II, 01/12/2022, n. 35377).

Il muro divisorio, quindi, deve essere inteso come quel manufatto che impedisca al vicino di vedere le piante altrui, in quanto la ratio della norma è appunto quella di escludere il rispetto della distanza nel caso in cui le piante rimangano nascoste alla vista del vicino (si deve escludere però che, al fine di accertare se alcune piante sono tenute ad altezza non eccedente la sommità di un muro divisorio esistente sul confine, possa tenersi conto di una rete metallica collocata sopra il muro).

In ogni caso va ribadito che secondo costante giurisprudenza di legittimità, in tema di distanze degli alberi dal confine, ai sensi dell’art. 892 c.c., è legittima la sentenza del giudice di merito che, nel giudizio instaurato con domanda di sradicamento degli alberi posti a dimora dal confinante proprietario a distanza inferiore a quella legale, ordini al convenuto medesimo di mantenere le piante ad altezza non eccedente la sommità del muro, ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 892 c.c. (Cass. civ., sez. VI, 17/09/2015, n. 18284).

Rami invadenti: come reagire

Il proprietario sul cui fondo si protendono i rami degli alberi del vicino può in qualunque tempo costringerlo a tagliarli, e può egli stesso tagliare le radici che si addentrano nel suo fondo, salvi però in ambedue i casi i regolamenti e gli usi locali (art 896 c.c.).

Il diritto di far protendere i rami degli alberi del proprio fondo in quello confinante non può essere acquistato per usucapione, riconoscendo espressamente l’art. 896 c.c. al proprietario del fondo, sul quale, essi protendono, il potere di costringere il vicino a tagliarli in qualunque tempo (Trib. Trani 3 novembre 2023, n. 1618).

La ratio di tale scelta legislativa può cogliersi nella considerazione che la crescita dei rami sia opera della natura e, quindi, non possa costituire oggetto di un possesso, sufficientemente continuativo e che l’astensione del vicino dal taglio sia solitamente dovuta a mera tolleranza.

In base alla formulazione della norma, dunque, il vicino può agire per invocare la condanna del proprietario ad eseguirne la potatura, esercitando in tal modo una domanda di tutela in forma specifica; ma può anche agire per essere autorizzato dal giudice ad eseguire la potatura predetta, a spese del vicino che non vi provveda, formulando in tal guisa un’istanza di tutela per equivalente (Cass. civ., sez. I, 27/10/2021, n. 30188).

Frutti sul ramo invadente del vicino: comportamenti leciti ed illeciti

L’art. 896 c.c., comma 2 precisa che i frutti naturalmente caduti dai rami protesi sul fondo del vicino appartengono al proprietario del fondo su cui sono caduti.

Se è vero che l’art. 821 c.c. condiziona l’acquisto della proprietà dei frutti naturali al distacco degli stessi dalla cosa madre, tuttavia l’elemento della maturazione o meno dei frutti non può ritenersi indifferente ai fini della percepibilità degli stessi, dato che è proprio con la maturazione che il frutto acquista una propria individualità economica rispetto alla cosa madre, e diventa separabile da questa, laddove il distacco dei frutti non ancora maturi costituisce un atto pregiudizievole.

È chiaro quindi che non si possa raccogliere i frutti direttamente dal ramo, senza il consenso del vicino, anche se il ramo sconfina nella proprietà vicina.

In caso contrario si può parlare di furto, cioè del reato previsto dall’art. 624 c.p. che punisce chi s’impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene per trarne profitto per sé o per altri. La pena prevista è quella della reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da 154 a 516 euro.

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