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Per l’impianto elettrico non serve l’ok dell’assemblea

La messa a norma della struttura condominiale va considerata come attività di manutenzione urgente e quindi l’amministratore può provvedervi direttamente senza necessità di autorizzazione. Lo ha chiarito la Corte di cassazione

La messa a norma dell’impianto elettrico condominiale va considerata come attività di manutenzione urgente e quindi l’amministratore può provvedervi direttamente senza necessità di una previa autorizzazione assembleare. Lo ha chiarito la seconda sezione civile della Corte di cassazione nella recente sentenza n. 14300, depositata lo scorso 8 luglio 2020, nella quale i giudici hanno anche espresso una serie di interessanti considerazioni sulle finalità e i poteri delle c.d. commissioni ristrette di condomini nominate a volte dall’assemblea per gestire alcuni aspetti operativi dei lavori da svolgere in condominio.

Il caso concreto. Nella specie alcuni condomini avevano impugnato la delibera assembleare che aveva autorizzato i lavori di messa a norma dell’impianto elettrico, sia perché parte di essi avrebbe dovuto essere effettuata anche nelle singole proprietà esclusive sia perché la nomina del tecnico cui affidare l’incarico di accertare quali fossero le opere di manutenzione straordinaria necessarie per la buona conservazione dei fabbricati, nonché di redigere il computo metrico dei lavori e il capitolato d’appalto, era stata adottata da una commissione ristretta di condòmini a ciò delegata dall’assemblea.

Il tribunale aveva rigettato le domande, ma in sede di appello la deliberazione era stata annullata, per quanto limitatamente alla parte in cui anche quella parte di lavori da eseguirsi nei singoli appartamenti era stata ripartita in base ai millesimi. Circa i vizi dedotti dai condomini, la Corte di appello aveva infatti ritenuto che l’assemblea avesse sufficientemente predeterminato il contenuto dell’incarico che la commissione ristretta di condomini avrebbe dovuto conferire al designando professionista e il relativo limite di spesa, mentre la decisione di intervenire anche sulle proprietà esclusive appariva giustificata dalla finalità di migliorare o ammodernare l’impianto. La sentenza non aveva soddisfatto alcune delle parti in causa, tanto è vero che la stessa era stata impugnata da uno dei condomini e il condominio aveva a sua volta depositato un controricorso.

La messa a norma dell’impianto elettrico. La Suprema corte, riformando la decisione di secondo grado, ha infine accolto i vizi di legittimità contestati dal condomino relativamente ai lavori sull’impianto elettrico.

La parte più interessante della sentenza in questione è sicuramente quella in cui i giudici definiscono addirittura «innegabile» il fatto che l’adeguamento dell’impianto elettrico condominiale alle prescrizioni di cui alla legge n. 46/90 costituisca un intervento urgente di straordinaria manutenzione. Da ciò consegue che l’amministratore può effettuare i lavori di adeguamento anche senza una preventiva delibera dell’assemblea condominiale. Soccorre infatti il disposto di cui all’art. 1135 c.c., secondo cui l’amministratore non può ordinare lavori di manutenzione straordinaria, salvo che rivestano carattere urgente, ma in questo caso deve riferirne alla prima assemblea.

Ma, si badi, riferire all’assemblea non vuol dire che quest’ultima debba necessariamente ratificare la decisione dell’amministratore. Perché, in caso contrario, questi avrebbe più di una remora a svolgere quei lavori che fossero effettivamente urgenti, con l’effettivo rischio di compromettere la funzionalità delle parti comuni.

Su questo punto soccorre però la stessa Suprema corte, la quale altrove ha chiarito che l’art. 1135 c.c. abilita espressamente l’amministratore a ordinare lavori di manutenzione straordinaria che rivestano carattere di urgenza, imponendogli soltanto l’obbligo di riferirne alla prima assemblea dei condomini, obbligo che non può in alcun modo confondersi con la necessità di ratifica di un atto esorbitante dal mandato, rientrando, invece, sia pure con carattere particolare, nell’obbligo generale che incombe all’amministratore di rendere conto della sua gestione ai condomini (Cass. civ., sez. II, 19 novembre 1996, n. 10144).

Rimane ovviamente il problema dell’eventuale indisponibilità di cassa. Se l’amministratore non ha a sua disposizione fondi condominiali, l’unico rimedio possibile pare essere quello di anticipare le somme necessarie allo svolgimento degli interventi più urgenti. In questo caso, tuttavia, la stessa sentenza in precedenza citata ha chiarito che nemmeno l’inosservanza, da parte dell’amministratore, dell’obbligo di riferire all’assemblea preclude il suo diritto al rimborso delle spese riconosciute urgenti, nei limiti in cui il giudice le ritenga giustificate.

È tuttavia del tutto evidente come i poteri dell’assemblea non possano invadere la sfera di proprietà dei singoli condomini, tranne che una siffatta invasione sia stata da questi specificamente accettata o nei singoli atti di acquisto o mediante approvazione del regolamento di condominio che la preveda.

Di qui l’assoluta illegittimità della delibera che, come nel caso di specie, stabilisca di svolgere dei lavori condominiali estendendoli anche alle aree di proprietà esclusiva. Sul punto la Suprema corte, riprendendo le giustificazioni adottate dal giudice di appello a sostegno della contraria decisione, ha evidenziato come non abbia alcuna rilevanza la circostanza che i lavori da effettuare siano destinati a migliorare, ammodernare o rendere più sicure le singole unità immobiliari.

Le c.d. commissioni ristrette dei condomini. Come si diceva, la Cassazione ha anche preso in esame la questione della legittimità della delega conferita dall’assemblea a una c.d. commissione ristretta di condomini in ordine a determinate decisioni. A questo proposito la Suprema corte ha ribadito il proprio orientamento secondo il quale l’assemblea in tanto può istituire una commissione di condomini deputata ad assumere determinazioni di competenza assembleare, in quanto queste ultime, perché possano considerarsi valide ed efficaci nei confronti dell’intera compagine condominiale, siano successivamente approvate, con le maggioranze volta per volta prescritte, dalla medesima assemblea (sul punto si veda, da ultimo, anche Cass. civ., sez. II, 20 dicembre 2018, n. 33057).

È quindi evidente come, nella sostanza, le funzioni che per legge spettano all’assemblea non possano mai validamente formare oggetto di delega a organismi ristretti, per quanto formati sempre da condomini.

Una delega siffatta andrebbe infatti a cozzare innegabilmente con il diritto di tutti i condomini di partecipare alle decisioni che riguardano la gestione delle parti comuni, assegnando tale potestà soltanto ad alcuni di essi. Commissioni siffatte, a tutto concedere, possono quindi avere un ruolo eminentemente consultivo o preparatorio dello svolgimento dell’assemblea. Possono cioè essere utilizzate dai condomini per approfondire o selezionare gli argomenti su quali si dovrà necessariamente esprimere l’assemblea con le maggioranze di legge. Ecco perché la Suprema corte ricorda che eventuali determinazioni di tali commissioni ristrette non hanno alcun valore vincolante per i condomini, quantomeno ai sensi dell’art. 1137 c.c., in quanto i contrari o gli assenti non potranno mai ritenersi obbligati a quanto in esse stabilito.

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