Il certificato di agibilità o abitabilità è un documento fondamentale per la regolarità urbanistica dell’immobile. In passato, i termini “agibilità” ed “abitabilità” facevano riferimento a due documenti diversi: l’agibilità riguardava immobili non residenziali, mentre l’abitabilità era concessa agli immobili ad uso abitativo.
Nel 2001, il nuovo Testo Unico dell’Edilizia (D.P.R. 380/2001) ha riunito i due documenti nell’unico “certificato di agibilità“.
Nel 2016 anche quest’ultimo certificato è stato superato dalla “Segnalazione Certificata di Agibilità, SCA” che a differenza dei primi certificati non consiste nella richiesta al Comune di ottenimento della agibilità ma in un’autocertificazione del Direttore dei lavori o di un altro tecnico che attesta la sussistenza dei requisiti richiesti dalla legge ai fini dell’agibilità.
Quale che sia la denominazione, il documento certifica l’idoneità dell’unità immobiliare ad essere abitata. L’art. 24 del T.U. dell’Edilizia, infatti, stabilisce le condizioni fondamentali e imprescindibili per abitare un immobile: “sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi installati, e, ove previsto, di rispetto degli obblighi di infrastrutturazione digitale”, (secondo il testo del comma 1 dell’articolo 24 per come modificato dal D. Lgs. n. 207/2021).
L’ottenimento del certificato di abitabilità risulta condizionato alla chiusura della pratica edilizia, alla certificazione degli impianti, alla effettuazione di collaudo statico e di regolare accatastamento.
Cosa accade, allora, se un immobile viene venduto in assenza di certificato di agibilità? Si tratta di grave inadempimento del venditore tale da consentire all’acquirente di richiedere la risoluzione del contratto? Ed ancora, quando la mancata consegna del certificato realizza un’ipotesi di aliud pro alio?
Una recente sentenza del Tribunale di Novara, n. 60 del 31 gennaio 2023, ci viene in ausilio per dare risposta alle superiori domande.
Immobile privo di certificato di abitabilità e domanda di risoluzione del contratto di compravendita. La vicenda
L’acquirente di un immobile conveniva in giudizio il venditore esponendo di aver riscontrato, a distanza di qualche tempo, che l’immobile era affetto da una serie di difetti di manutenzione (infiltrazioni, muffe, stillicidio, sgretolamento dei trucioli di legno del soffitto); di essersi, pertanto, rivolta ad un professionista, che aveva accertato la presenza di difetti tecnici quali infiltrazioni, probabile presenza di amianto, mancata impermeabilizzazione del tetto, irregolarità dell’impianto elettrico e del gas. Rappresentava, altresì, che l’ingegnere incaricato, in seguito agli approfondimenti del caso, aveva assegnato all’immobile la classe energetica F, diversamente da quanto certificato dal convenuto, nonché riscontrato, nelle proprie ricerche presso il competente Comune, che non erano reperibili le certificazioni di conformità degli impianti dell’elettricità e del metano e che era inesistente il certificato di abitabilità dell’immobile.
L’attrice chiedeva, pertanto, l’accertamento dell’inesistenza del certificato di agibilità dell’immobile acquistato nel 2014 nonché la risoluzione del contratto per grave inadempimento del venditore con restituzione della somma versata (oltre oneri occorrendi di estinzione del mutuo) e risarcimento del danno patrimoniale.
Parte convenuta si costituiva in giudizio deducendo (con riferimento all’argomento che qui ci occupa e tralasciando l’esame della pure spiegata domanda riconvenzionale di restituzione di una somma prestata all’attrice) l’esistenza di un accordo tra venditore e acquirente, in virtù del quale quest’ultima si sarebbe fatta carico dell’ottenimento del certificato di abitabilità dell’immobile.
Immobile privo di agibilità: risoluzione del contratto di compravendita solo qualora non ricorrano le condizioni per il conseguimento del certificato
Richiamando la giurisprudenza in materia di grave inadempimento e di vendita di aliud pro alio, con riferimento ad un immobile privo di certificato di agibilità, il Tribunale, nel caso di specie, ha ritenuto non sussistente una gravità tale da giustificare la risoluzione del contratto ex art. 1453 c.c.
È vero, infatti, che la consegna del certificato di abitabilità dell’immobile da adibire ad abitazione, pur non costituendo di per sé condizione di validità della compravendita, integra comunque un’obbligazione incombente sul venditore ai sensi dell’art. 1477 c.c., (Cass., n. 23157/2013), legittimando sia la domanda di risoluzione del contratto, sia quella di risarcimento del danno, sia l’eccezione di inadempimento (cfr. sent. Cass. 23.1.2009 n. 1701); è pur vero, però, che l’inadempimento derivante dalla mancata consegna del certificato, può determinare la risoluzione solo qualora non ricorrano le condizioni per il suo conseguimento (Cass., n. 30950/2017).
Infatti, soltanto nel caso in cui non sussistano le condizioni per ottenere il certificato in ragione di insanabili violazioni di disposizioni urbanistiche può ipotizzarsi, nella mancata consegna del documento, un inadempimento idoneo alla risoluzione della compravendita (Cass., n. 3851/2008; n. 17140/2006; n. 24786/ 2006), mentre nelle altre ipotesi l’omissione del venditore va valutata in relazione all’importanza e gravità dell’inadempimento.
D’altronde, l’art. 1455 c.c. impone la verifica della non scarsa importanza dell’inadempimento, dovendo il giudice tenere conto dell’effettiva incidenza dell’inadempimento sul sinallagma contrattuale e, pertanto, in caso di mancata consegna del certificato di agibilità, verificare se i difetti dell’immobile siano di natura tale da incidere in maniera grave e permanente sulla destinazione abitativa sua propria e solo in tal caso dichiarare risolto il contratto.
Nel caso di specie, era emerso dagli accertamenti compiuti dal Ctu che i vizi dell’immobile ostativi al rilascio della agibilità, erano tutti minimali e regolarizzabili e, dunque, superabili in modo agevole mediante la realizzazione di interventi modesti anche sotto il profilo economico.
Non erano, infatti, emersi difetti di alcun genere sotto il profilo strutturale o così importanti da ritenere il bene addirittura “diverso da quello pattuito”. In tal senso, va ricordato che l’ipotesi dell'”aliud pro alio” che dà luogo all’azione contrattuale di risoluzione o di adempimento, ai sensi dell’art. 1453 c.c., svincolata dai termini di decadenza e prescrizione previsti dall’art. 1495 c.c., si realizza allorché il bene venduto sia completamente diverso da quello pattuito in quanto, appartenendo ad un genere diverso, si riveli funzionalmente del tutto inidoneo ad assolvere la destinazione economico-sociale della res venduta e, quindi, a fornire l’utilità richiesta (Cass. n. 10916/2011; n. 28419/2013).
Sussisteva, dunque, l’inadempimento del convenuto rispetto al proprio obbligo di alienare un bene fornito di certificato di agibilità, in quanto impossibile da ottenere per l’acquirente nello stato in cui l’immobile era stato venduto per le carenze esistenti, quantomeno rispetto all’impianto del gas. Tuttavia, l’agevole realizzazione degli interventi necessari per l’ottenimento della certificazione di agibilità ha portato al rigetto della domanda attorea di risoluzione del contratto poiché non sorretta da inadempimento del convenuto qualificabile come grave.
Il Tribunale ha, poi, suggerito la possibilità per l’attrice di ottenere tutela agendo per l’adempimento ovvero chiedendo di essere ristorata dei costi per la realizzazione degli interventi necessari all’ottenimento del certificato di abitabilità e all’avvio della relativa pratica; domanda in quella sede non formulata avendo la predetta unicamente agito per la risoluzione.